Venerdì 7 aprile, nella sala Quadrivum di Piazza Santa Marta, il gruppo scuola di Gioia Piena ho proposto un incontro di formazione per insegnanti, educatori, formatori, genitori, ovvero per tutti coloro che sono immersi nell’avventura dell’educazione, dal titolo La sfida educativa. Non esistono studenti cattivi. Ospiti graditissimi, come relatori, sono stati don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Cesare Beccaria di Milano, autore, tra gli altri, del libro Non esistono ragazzi cattivi, e la professoressa Mariella Carlotti, insegnante nelle scuole superiori di Firenze.
La serata è stata molto partecipata, erano presenti in sala oltre duecento persone, il che ha confermato quanto quello educativo sia un tema centrale, di cui si avverte sempre più l’urgenza; gli insegnanti vivono molteplici momenti di formazione, ma raramente questi riflettono sull’importanza del fondamento della sfida educativa. Dopo una breve introduzione ai lavori, il saluto di Mons. Nicolò Anselmi, vescovo vicario di Genova, di Padre Oddone, presidente della Fidae Liguria, di fratel Massimo Banaudi, direttore dell’istituto Champagnat, le relazioni degli ospiti hanno riflettuto su quello che è il luogo, il come e il senso della formazione, ovvero la relazione educativa.
Don Claudio ha testimoniato la sua esperienza nel carcere minorile e nell’associazione che ha fondato, Kairos (termine che in greco significa tempo favorevole, occasione, in cui è decisivo l’attimo, che si distingue da chronos il quale, invece, indica il tempo monotono e ripetitivo segnato dal prima e dal dopo) che si occupa dell’accoglienza di minori in difficoltà. Tale esperienza, ha sottolineato don Claudio, lo ha portato a comprendere che la relazione educativa è comprendere che l’altro non può essere ingabbiato, per così dire, da nostri pregiudizi, da nostre attese, ma è qualcuno che ha bisogno di una persona adulta, di un “adulto adulto”, come ha confidato un ragazzo, che sappia prendersi la responsabilità della propria identità, ascoltare, immergersi nella difficoltà che chi sta di fronte a lui sta vivendo.
La professoressa Carlotti ha portato la sua testimonianza di insegnante ripercorrendo alcuni momenti decisivi del suo percorso professionale. In queste esperienze, ha raccontato la professoressa, ha toccato con mano quanto per insegnare sia fondamentale riuscire a raggiungere le domande profonde dei ragazzi, soprattutto di quelli che sembrano più sfacciati e con cui sembra più difficile entrare in relazione. Questo lavoro di immersione nei loro interrogativi è, tuttavia, impossibile se un insegnate non realizza quali sono le domande che si porta dietro che investono, prima di tutto, la propria identità. Quando un ragazzo percepisce che le lezioni parlano di lui (come alcuni ragazzi pakistani dell’istituto professionale dove lavora la professoressa, che si sono identificato nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di Leopardi) comprende che a scuola può davvero formarsi; il passo decisivo è comprendere che le lezioni possono dare risposte, non perché queste debbano essere per forza utili a qualcosa, ma perché si trovano le risposte laddove si è liberi di poter ascoltare ed esprimere le domande profonde che ciascuno si porta dentro.
Dopo le relazioni, una sorpresa graditissima per tutti gli ospiti: il cardinale Bagnasco è arrivato in sala e ha portato un saluto. In questo Sua Eminenza ha riflettuto, riprendendo le parole di Romano Guardini, grande ispiratore di generazioni di giovani universitari, sull’importanza dell’educazione in un contesto come quello di oggi che, spesso, riempie il vuoto, che esso stesso ha alimentato, con una cultura del nulla. L’insegnante, e in generale l’educatore, può rispondere alla propria attitudine/vocazione se continua a farsi interrogare alla domanda “chi sono io?”, se si lascia toccare e interrogare dalla realtà che gli viene incontro ogni giorno, senza sopravalutarsi né, tanto meno, sottovalutarsi.
Un incontro, dunque, molto ricco, dove c’è stato lo spazio anche per domande e condivisioni, e che vuole essere il primo di una serie di occasioni di formazione e approfondimento per chi è chiamato a educare. Tra i tanti messaggi e contenuti espressi, quello che di più ha veicolato la serata è stata la necessità, da parte di chi insegna ed educa, di essere aperti alla relazione, accogliendo con responsabilità il proprio ruolo di adulto, per necessità asimmetrico, e vivendo la sfida educativa come il luogo della possibilità, spesso dell’insufficienza, in cui permettere ai ragazzi di esprimere le domande profonde e approfondire il limite che, necessariamente, essi sono. Questo perché, come ha sottolineato la professoressa Carlotti, il nostro cuore percepisce la risposta come un luogo in cui poter domande.
Hanno chiuso la serata alcuni versi della bellissima poesia di Dietrich Bonhoeffer, scritta durante la prigionia nel campo di concentramento di Flossenbürg, che riportiamo:
Chi sono? Spesso mi dice questo o quello
che dalla cella in cui son tenuto
esco disteso, lieto e risoluto
com’esce un signor dal suo castello.
Chi sono? Spesso mi dicono
che parlo a chi mi sorveglia
con libertà, affabilità e chiarezza
come spettasse a me di comandare.
Chi sono? Anche mi dicono
che sopporto i giorni infelici
imperturbabile, sorridente e fiero
come chi e’ avvezzo alla vittoria.
Sono io veramente ciò che gli altri dicono di me?
O sono soltanto ciò che io stesso conosco di me? […]
Chiunque io sia, tu mi conosci, tuo io sono, o Dio!
Davide Penna – gruppo scuola