Centro Diocesano AC, Sabato 9 Ottobre. Quando si parla di generazioni è spesso difficile riuscire ad intravedere dei confini tra le sfumature. Se negli anni passati la trama del tessuto sociale era stata fitta e di colore omogeneo, con gradazioni molto lente, oggi ci ritroviamo di fronte a una trama sconnessa e variopinta.
Come parlare ad un azzurro quando si è gialli? Come comunicare ad un ragazzo delle superiori da una generazione diversa, con riferimenti cambiati?
Questa è la domanda che ha accompagnato gli educatori dei gruppi Giovanissimi di Azione Cattolica nel primo dei tre incontri di formazione pensati per loro in Centro Diocesano, in questa occasione con il prezioso aiuto di Pietro Vaghi.
Emergenza. Emergenza climatica, emergenza sanitaria… Emergenza educativa. Nascosta tra le altre, delegata spesso ad un settore specializzato di persone, come se fosse una questione che solo una parte di noi fosse chiamato a vivere e trattare, mentre per le altre si mobilitano, per un verso o per l’altro, le piazze.
Certo sarebbe stupido pensare che sia la prima emergenza educativa della storia e tanti sono stati gli esempi portati dal relatore di situazioni simili a quella che stiamo vivendo.
C’è però una differenza fondamentale che è propria del nostro tempo e che ha cambiato non solo il lato educativo, ma la totalità della vita dell’uomo in generale. Questa piccolissima, minuscola differenza sono i social che amplificano la situazione e la rendono più difficile da gestire, avendoci resi tutti un arcipelago di isole che comunicano solo via radio e non più con i traghetti venendoci incontro.
Se è vero che siamo tutti con la testa china sui nostri telefoni cosa possiamo fare per comunicare con i ragazzi? Alzare lo sguardo e donare loro tempo.
Perché poco altro abbiamo da offrire: il tempo è la misura dell’amore. Il ruolo dell’educatore è quello di “tirare fuori”, “sostenere”, “accompagnare”, di essere sostegno dell’albero che cresce. È l’albero ad essere importante, non il sostegno. Questo deve essere il nostro sguardo nel servizio che portiamo avanti in parrocchia.
Il tempo che passiamo con i ragazzi dev’essere un tempo di relazione in cui ci impegniamo a guardarli con uno sguardo migliorativo: a vedere tutto il buono che c’è in loro e tentare di aiutarli a viverlo e a tirarlo fuori perché possano essere un albero forte, rigoglioso e ricco di frutti.
Tra un caffè e un pezzo di focaccia il dialogo continua in un clima di condivisione, speranza e tanta voglia di tentare di migliorare.
Pietro aggiunge che spesso e volentieri si organizzano molte cose, ma che quello che resta nel tempo passato insieme non sono le parole dette, non è l’attività fatta, ma come ci siamo trovati in quel momento: a disagio, in difficoltà, fuori posto, oppure bene, accolto, amato.
Tutto si gioca su questo sguardo sul gruppo e sul singolo.
Restano infine tre punti chiave per la creazione di queste relazioni: l’accoglienza, la fiducia e l’autenticità.
Accettare i ragazzi per come sono e non desiderarli come vorremmo noi, fidarsi di loro e donarci loro così come siamo. E tra una risata e una condivisione si arriva presto al momento delle domande e dei saluti che sanciscono la fine di una mattinata ricca di spunti e riflessioni.
Ora forse sarebbe opportuno una conclusione che lanciasse un qualche augurio per il futuro o un qualche ringraziamento per il passato. Il presente è faticoso. Ma è il presente che siamo chiamati a vivere.
Cosa mi resta quindi di questa mezza giornata? Mi continua a ritornare in testa un pezzo di Sigh No More dei Mumford and Sons che dice “Be more like the man you were made to be. /There is a design, an alignment /A cry of my heart to see/ The beauty of love as it was made to be”.
E credo sia questo: rinnovata volontà di essere semplicemente colui che sono stato chiamato ad essere, anche nell’essere educatore, soprattutto nell’amare.
La sensazione che non ci sarà un momento migliore, non ci sarà un momento con meno cose da fare in cui riusciremo a fare meglio… Ecco ora il momento favorevole. La necessità di creare relazioni vere con i ragazzi, la volontà di farlo, la coscienza del fatto che significhi sacrificare del proprio tempo. E nel frattempo, cercando di vivere tutto quello che abbiamo ascoltato, ringrazio a nome dell’Equipe Giovani tutti coloro che hanno partecipato all’incontro donando un po’ del loro tempo e di loro stessi e auguro a tutti noi di poter essere davvero dimentichi del passato e protesi verso il futuro. Di correre verso la meta.
Andrea Gatti